La nostra storia: intervista a Pietro Oriani

La storia della nostra Società vede alla ribalta le esperienze vissute da PIETRO ORIANI, classe 1948, che ha indossato le nostre gloriose casacche dal 1965, cominciando con gli Juniores (all’epoca la squadra più “piccola” della nostra Società) e finendo in Seconda Categoria nel 1980, quando, a 32 anni, decise di “appendere le scarpe al chiodo”.

Il suo ruolo era quello di centravanti e grazie al fisico di cui beneficiava, ha sempre realizzato “una caterva” di gol.

“Del periodo degli Juniores, durato un solo anno, mi resta vivido il ricordo dell’allenatore ANGELO DIGIOVANBATTISTA detto “ZOMPA”, romano ed ex giocatore delle giovanili della Lazio, che durante gli allenamenti ci sollecitava appunto a “zompare” (cioè saltellare) e che, quando le partite volgevano al peggio, scambiava di ruolo ali e terzini per aumentare la spinta offensiva della squadra e cercare di recuperare il risultato: il PEPPO (l’ex assessore De Ponti) si spostava in attacco ed il SANDRO (Savino) retrocedeva in difesa. Non ricordo – dice Pietro – se tale espediente tattico abbia mai prodotto i risultati voluti!”

“Passato in prima squadra” racconta Pietro,” ho avuto l’opportunità di giocare con “senatori” come Giancarlo CHIESA, AUTELITANO, GATTI, GAZZOLA, Bruno LAZZARINI (il capitano per antonomasia!), Giorgio VIMERCATI (portiere…sul viale del tramonto) e pivelli poco più navigati di me come Enzo SALVADERI, Franco TAGLIABUE e Angelo MAGNI. Era una formazione di buon livello, con giocatori sanguigni e di carattere (fin troppo!), che scendevano in campo con dentro la voglia di vincere, sospinti dalla carica di un allenatore di prim’ordine, Giulio ORIANI (l’Ingegnere!).

Alla struttura tecnica si affiancava la presenza di Dirigenti eccezionali – quali l’indimenticato Presidente Luigi STRADA (il Cavaliere!) e l’indimenticabile Segretario Giancarlo MAGNI – che al ritorno di ogni trasferta ci facevano trovare al “Circolino” grande assortimento di ogni genere di conforto (panini, vino e bibite a volontà): è facile capire come ci sentissimo orgogliosi di appartenere a tale gruppo e di indossare la maglia del Bresso!”

Mentre raccontava le sue lontane esperienze, improvvisamente gli occhi di Pietro si inumidirono: “Vedi – mi dice – elencandoti giocatori e dirigenti della squadra ho commesso una dimenticanza gravissima: non ho citato Luigi BOROZZINO, il mitico “AMARAL”, che doveva il soprannome ad una lunga permanenza in Brasile. Era il factotum della squadra: raccoglieva dopo le partite maglie e calzettoni e li faceva lavare – se necessario anche rammendare – tutto a sua moglie, fungeva da magazziniere, giardiniere per la manutenzione del campo, non mancava a nessun allenamento o partita, pronto a prestarsi come massaggiatore e ad intervenire, con la proverbiale cassetta di pronto soccorso (spesso utilizzata come sedile) o con l’immancabile spugna (allora non era ancora stata messa al bando) imbevuta di acqua fresca in caso di infortuni. Qualsiasi necessità pratica la squadra manifestasse, Amaral sapeva soddisfarla.

Era tanto l’amore e l’attaccamento di Amaral per i nostri colori, che nel 1989 la morte lo colse per arresto cardiaco proprio sul campo dell’Oratorio, mentre assisteva tra il pubblico ad una partita degli Esordienti. Se ne è andato facendo il tifo per i “suoi” ragazzini, attorniato da quelle maglie nero-verdi tanto amate, caduto su quel campo che conosceva palmo a palmo! Un’altra persona indimenticabile!”

Superata la malinconia, affiorano altri ricordi. “Un tempo a Bresso c’erano tanti prati e spazi liberi dove giocare a pallone, ma strutture sportive vere e proprie (cioè campi da calcio con porte vere!) non ce n’erano, se non il campo del vecchio Oratorio e quello dell’Oratorio attuale – allora detto il campo della “Speranza” -. Il primo era sempre affollatissimo, il secondo era rigorosamente riservato alle partite ufficiali della “Speranza”. Io faccio parte di un gruppo di ragazzi che ebbe la fortuna di poter a lungo utilizzare un campo dotato di porte vere (non i soliti sassi messi a simulare i pali): Rino LESMA, papà di Checco, Leo e Pietro (altri miti dell’USCG) e della Tina (ma questa è un’altra storia), ci mise a disposizione il “campetto” – appezzamento su cui sorge oggi la casa di Checco, Leo e Pietro – e lo dotò di porte regolamentari. Ci si giocava a pallone da mattina a sera: il “Club Rinaria” – così fu battezzata la struttura in onore appunto del nostro benefattore Rino Lesma – fu una fucina di giocatori che numerosi approdarono all’USCG Bresso”.

“Il Giulio Oriani la domenica ci sollecitava sempre a partecipare all’allenamento (uno beninteso!) infrasettimanale, raccogliendo tante adesioni regolarmente disattese; i pochi che si allenavano (non sempre i più dotati), non avevano il posto garantito la domenica, perché comunque si giocava per vincere ed i cambi possibili erano solo 1 (il 12°) ed in seguito 2 (anche il 13°). Succedeva così che per evitare eccessivi imbarazzi e mugugni, poche settimane dopo l’inizio della stagione, l’allenamento infrasettimanale veniva definitivamente abolito. Di conseguenza la rosa era molto ristretta e capitava che, in caso di defezioni improvvise e impreviste o previste ma di massa (quelle dei Ciellini della prima ora!!!), fosse necessario reclutare, passando casa per casa, vecchie glorie o giovani volonterosi, ricchi di disponibilità e scarsi di talento, per mettere in campo 11 giocatori! Memorabile per me una sconfitta rimediata scendendo in campo a Carate Brianza con una squadra messa insieme in tal modo: finì 12-1! Quello della panchina e delle defezioni fu un assillo costante per tanto tempo, solo in occasione del derby con l’Audax (l’Audace come la chiamava Amaral) si poteva essere certi di contare su tutti gli effettivi: potenza del campanilismo!”

“Ricordo anche quando giocavamo in casa la domenica mattina, sul campo dell’Oratorio. La partita cominciava alle 10:30, la convocazione era per le 9:30, ma parte della squadra assisteva alla Messa delle 9:00 e regolarmente si presentava negli spogliatoi verso le 10:00: giusto in tempo di cambiarsi per la chiama dell’arbitro e di fare quattro tiri per scaldarsi un po’ prima di iniziare la partita. Anche per questo venivamo spesso da giocatori di altre squadre indicati, con una punta di dileggio, come squadra da Oratorio, fatto di cui per contro noi eravamo assolutamente orgogliosi”

Aspetto quest’ultimo che mi trova assolutamente consenziente, anche se io non ho personalmente mai indossato le maglie nero-verdi della Polisportiva (a proposito, al tempo di Pietro la prima maglia era azzurra e la seconda rossa), ma sono lieto che la indossi mio figlio.

“Dovete sapere – prosegue Pietro – che sul nostro campo eravamo quasi imbattibili, anche perché sapevamo sfruttare alcune caratteristiche del terreno di gioco, in particolare il fatto che sia notoriamente molto stretto. Veniva attuato il così detto “schema Bresso” che scattava in occasione di rimesse laterali a ridosso dell’area di rigore: io facevo una rimessa lunga e alta in direzione del palo più vicino, il Checco, saltando, appoggiava di testa la palla all’indietro e verso il centro dell’area dove arrivava Cavallini ad insaccare. Ma, dal punto di vista dei risultati, i ricordi più belli sono legati ai primi anni ‘70, caratterizzati dalla vittoria senza sconfitte del Campionato di TERZA CATEGORIA, celebrato con foto e trafiletto sul quotidiano “Il Giorno”, e da una serie di 11 vittorie consecutive, pure assurta agli onori della stampa, nel Campionato di SECONDA CATEGORIA. Sempre a quegli anni sono ascrivibili le vittorie al Torneo Cameroni (con Salvaderi Enzo, miglior realizzatore del Torneo) e per due anni consecutivi al Torneo Benito Lorenzi (dopo la seconda vittoria, fortunosa ed ai supplementari, non fummo più invitati!), che all’epoca erano fra i tornei più prestigiosi di Milano”.

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